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Sorpresa a Babbo Natale

La favola di Natale di Sebastiano Ferin (9 anni)

Era la notte di Natale nella Prefettura di Belluno, le luci spente in piazza dei  Martiri, il Duomo silenzioso e vicino le scale mobili chiuse. Di luci non c’era traccia e la notte fredda senza luna ma l’aria carica di attesa e felicità,le fontane non facevano uscire acqua e in tutto il centro non c’era anima viva e il minimo rumore.

All’improvviso si sentì un rumore molto forte, delle campanelline, era Babbo Natale con la slitta e le sue renne e passando di casa in casa a consegnare i  regali chiesti si accorse che non c’era nessuno ma pensò: -è mezzanotte e saranno tutti a dormire -. Quando passò davanti alla Prefettura, vide che l’orologio non segnava l‘ora giusta insomma sembrava che tutto si fosse fermato nel tempo. Allora decise di entrare per regolare l’orologio, si portò con sè un’ascia per sfondare il portone della Prefettura ma lo trovò aperto, quindi decise di riporre l’ascia prima di entrare.

Una volta riposta l‘ascia entrò lasciandosi alle spalle piazza Duomo. Arrivato agli ingranaggi dell’orologio cercò di mettere l’ora giusta ma senza successo e gli sembrò strano che non svegliasse nessuno a lui sembrava una città morta. Dopo vari tentativi di ricerca di qualcosa che potesse regolare l’orario trovò una leva e la tirò verso il basso e sotto di lui si aprì una botola e cadde. Vide che era una galleria che portava a un grande salone, quando arrivò vide un grande albero di Natale. Mentre si avvicinava gli parve di essere osservato,ma quando si avvicinò talmente tanto che le luci si accesero e tutti i cittadini gridarono in coro: -ciao Babbo Natale!!!- e tutti festeggiarono felici e contenti di conoscere personalmente Babbo Natale.

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Il più bel Natale di Marco

La favola di Natale di Giulia (15 anni), Belluno

Battevano forte i denti e tanto il cuore: il Natale si stava avvicinando e io non vedevo l’ora. Passeggiare tra le vie illuminate a festa della mia piccola cittadina, con le mani strette in quelle di mamma e papà, era quello che aspettavo da tutto l’anno. Mi prendevano tutti un po’ in giro per questa mia passione e io, sinceramente, non ne capivo il perchè. Soprattutto Luca, il mio compagno di classe, diceva che Babbo Natale non esisteva e che ero una “femminuccia”; da quando aveva iniziato anche tutti gli altri miei compagni l’avevano fatto.

Però un giorno successe quello che mai mi sarei aspettato. La mia maestra aveva deciso di portarci a vedere gli abeti illuminati delle vie di Belluno: era stata una notizia fantastica per me, meno per i miei compagni. Tutte quelle luci, tutte quelle decorazioni: come potevano non piacere? L’atomosfera del Natale mi avvolgeva completamente: vedevo i visi della gente accendersi di una luce nuova, particolare e in tutti si faceva largo un gran sorriso. <<Marco, dai! Andiamo!>>.

Percepivo la sua voce come un suono in lontananza, affascinato com’ero dall’abete di Piazza Duomo: era veramente bellissimo, cosi’ regale e cosi’ illuminato! Lo guardavo col naso all’insù e mi sentivo piccolo piccolo davanti a cosi’ tanta maestosità! Stavo per tonare dalla maestra, quando vicino all’abete notai qualcuno: era un signore alto alto, con una lunga barba bianca, un gran pancione e gli occhi che sorridevano. Sono sicuro che anche gli altri bambini lo notarono, sebbene non me l’abbiano mai detto, perchè da quel giorno nessuno più mi disse che Babbo Natale non esisteva.

 

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La gloria del Natale

La favola di Natale di Angelo Tolotti

Nevicava. Fiocchi scendevano leggeri e danzavano con mille sfarfallii: un evento atteso, sempre magico.

Una vecchina, tutta vestita di nero, saliva a fatica lungo le scalette di Borgo Pra verso il centro della città. Belluno era lassù, tutta stretta al colle,  ma la neve creava turbini e veli che non lasciavano trasparire la meta. Doveva arrivare alla chiesa di Santo Stefano dove le funzioni sacre e le dolcissime nenie avrebbero sciolto i cuori di tutti in una pace senza fine. Mancavano tre ore alla Notte meravigliosa ma la vecchina aveva l’abitudine di passare di chiesa in chiesa per un giro obbligato di preci per i suoi morti, dalla chiesetta raccolta della Madonna della Salute in Piazza Erbe, al Duomo, silenzioso, con gli archi maestosi e con le statue che nella luce incerta  dei ceri votivi  sembravano animarsi in un soffuso inno natalizio.

Via verso la Chiesa di Loreto, tre Requiem, una benedizione ai suoi morti con acquasanta della  pila, e avanti ancora, sotto la neve che scendeva in un  fruscio appena avvertito. Domani sarebbe arrivato il Natale e lei ripensava ai suoi tanti, lontani, Natali di bambina, fatti di niente; i regali più belli?.. scodelle di rinunce… piatti di speranze. Fantasticando si chiedeva se l’anno dopo sarebbe stata lì, a pregare per le anime dei defunti, di suo marito perso da tempo, dei suoi due figli strappati in tenera età, mentre lei teneva stretto il filo della vita quasi per condurli verso il paradiso. Le preghiere diventavano incenso, erano invocazioni recitate con un bisbiglìo sottile, lei così fragile ma decisa di ripetere un rito che nemmeno gli acciacchi…. la sua vista  si annebbia, si appoggia stremata agli scalini che portano a San Rocco… non ce la fa .. si sente sollevare ..”Vieni, è arrivata la tua ora, sii felice … lassù, in alto… gli angeli cantano un Alleluja, tutto per te, per portarti in gloria per sempre..” ” Grazie, don Carlo, mi affretto, mi stai facendo strada tra i santi del cielo… oh, mio Dio, come sono fortunata!”.

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Il Natale della Luna

La favola di Natale di Vilma De Bona

C’era una volta in un paese un bellissimo albero di Natale sotto il quale venivano posati i doni per i bambini e grandi.
La notte di Natale tutti andavano in chiesa con tanta gioia nei cuori e finita la messa si recavano sotto l’albero per prendere i pacchi con i loro nomi, per ognuno c’era un dono!
Dal cielo la luna guardava un po’ triste perché in queste giornate di gioia nessuno pensava di regalare qualcosa pure a lei.Ecco all’uscita dalla chiesa i bambini correvano festosi verso l’albero, ma anche i grandi camminavano frettolosi verso i pacchi e trovato il proprio si avviavano verso casa.
Quando la piazza rimase deserta la luna guardò verso l’abete e vide che c’era ancora un pacchetto.
Si guardò attorno per vedere dove era il proprietario ritardatario del pacco, ma non vide nessuno, aspettò un paio d’ore e poi spinta dalla curiosità mandò un raggio per prendere il pacco.
Lo aprì e dentro trovò un bellissimo paio di scarpe da ginnastica rosa.
La luna non resistette e se le infilò, le andavano a pennello. La luna era felice, felicissima come mai era stata prima d’ora.
Saltellava di qua e di là mostrando le scarpe rosa alle stelle, che quasi quasi erano un po’ invidiose di quelle scarpe.

Arrivò l’alba e il sole cominciò a spuntare da dietro i monti.
Appena la luna lo vide corse a mostrargli le scarpe da ginnastica rosa, il sole la guardò un po’ distrattamente.
– Scusami – disse alla luna – ma lo sai che quando vengo dall’altra parte della terra sono un po’ triste, lì i bambini non hanno neppure da mangiare. –
La luna salutò il sole e andò lei in quella parte del mondo dove i bambini sono tanto poveri.
Lì sotto una palma vide una bimba con i piedi nudi, la luna pensò allora di regalargli le scarpette rosa ed era tanto felice perché a Natale è bello ricevere regali, ma è ancora più bello donarli.

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Oltre l’apparenza

La favola di Natale di Monia Barbazza

Ormai faceva parte della città, visto che viveva in centro da quasi un anno.In gennaio, quando era arrivato, aveva trovato rifugio tra le colonne del Comunale, protetto dal freddo da una coperta sbrindellata e dai malintenzionati dai due leoni guardiani, nel tepore della primavera si era spostato sotto porta Dojona, dalla canicola estiva aveva trovato refrigerio fra le panchine accanto alla fontana zampillante. Nell’autunno tiepido, però, si spostava spesso: qualche sera in piazza Duomo, qualche altra in Piazza Mazzini, poi in Piazza Castello, alcune notti in via Mezzaterra e poi non si vide più. Gli abitanti di Belluno, anime scontrose ma generose, si preoccuparono un po’. Qualcuno disse di averlo visto con passo elastico scomparire oltre porta Rugo, qualcuno disse di averlo visto vestito di rosso, qualcuno disse che gli pareva averlo scorto sul greto della Piave che uno strano animale dalle grandi corna che non era un cervo… ma erano voci isolate. Poi non si senti più nulla. La sera del 21 novembre, però, le voci tornarono a rincorrersi: alla luce gentile degli alberi che si accendevano uno dopo l’altro tutti lo videro, ma di sfuggita, come un’ombra che ad uno sguardo più prolungato si dileguava. Passavano i giorni, la temperatura si faceva sempre più rigida, con un venticello sottile che si infilava sotto i cappotti, e la gente che passava per il centro fugacemente si rallegrava che lui non ci fosse a soffrire quel freddo.

Intanto Natale si avvicinava, e la frenesia della ricerca del regalo era sostituita da un nuovo desiderio che nessuno confessava agli altri: fu così che, la notte del 24 Dicembre, gli abitanti di Belluno si avviarono alla chetichella in Piazza dei Martiri e la trovarono gremita. All’improvviso, i loro occhi sorpresi dietro i respiri che si condensavano scomparvero nell’abbagliate luce del maestoso albero che si illuminava e, dalla stella in cima, si staccò una scia luminosa in cui si stagliava dal sagoma del loro mendicante che li salutava gioioso dalla slitta trainata da una renna.

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C’erano due ragazzi la notte di Natale

La favola di Natale di Elisabetta Giopp

C’erano due ragazzi in Piazza dei Martiri a Belluno la notte di Natale. Nevicava e loro si baciavano.
Anche quell’anno, come il precedente, come i dieci prima che avevano passato assieme.
Si guardavano negli occhi in mezzo al parco, di fronte al cerchio in pietra della fontana senz’acqua, bianca di neve. Assieme ricordavano la loro vita, il giorno del loro incontro appena più su in Piazza Piloni. Parlavano di matrimonio e progetti da realizzare, viaggi da fare, gente da incontrare.

C’erano due adulti in Piazza dei Martiri a Belluno la notte di Natale. Nevicava e loro si abbracciavano.
Anche quell’anno, come il precedente, come i trenta che avevano passato assieme. Erano in mezzo ad altra gente che si affollava intorno al grande albero illuminato a festa, ma avrebbero potuto essere soli. Parlavano dei loro due figli, quello che erano diventati, grazie un po’ anche a loro, quello che avrebbero potuto essere in futuro.

C’erano due vecchi in Piazza dei Martiri a Belluno la notte di Natale. Nevicava e loro si sorridevano.
Anche quell’anno, come il precedente, come i sessanta prima. Stavano seduti nella gelida panchina del parco e ricordavano assieme la gioia di veder crescere i nipoti sani e forti, ma anche il dolore della malattia, della vecchiaia. La paura e la rassegnazione, la consapevolezza serena della morte.

C’era un uomo solo in piazza dei Martiri a Belluno la notte di Natale.
Solo quell’anno, l’ultimo anno. Nevicava e lui piangeva. Un soffio gli accarezzò la guancia. Allora lui ricordò il suo viso e in un sussurro “Buon Natale” le augurò. Si voltò per andarsene, c’erano due ragazzi per mano in piazza dei Martiri a Belluno la notte di Natale, anche quell’anno. Sorrise, “Buon Natale” augurò e se ne andò.

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La scatola di latta

La favola di Natale di Daniela Emmi

Era la notte di Natale.

Piazza delle Erbe si rifletteva nelle vetrine ammiccanti. Raul cercò riparo dal freddo e dalla malinconia, entrando nella drogheria al civico numero 1. La proprietaria gli aveva telefonato in Australia chiedendogli di rimpatriare al più presto, in quanto la sua adorata nonna Albina stava per lasciare questo mondo. Non fece in tempo Raul, l’angelo della morte arrivò prima di lui. La signora che lo accolse, tra profumi di agrumi e spezie orientali, per volontà dell’estinta, gli mise tra le mani una scatola di latta rossa. Vi conteneva un foglio sul quale erano segnati tre degli alberi di Natale che abbellivano il centro storico. Il primo abete era proprio quello della drogheria. Vi era appeso un biscotto alla lavanda forato da un biglietto scritto dalla tremula mano di Abina: “Talvolta la vita ha il sapore aspro del limone, talvolta è dolce come la vaniglia. L’importante è assaporarne il gusto”. Proseguendo in quella che sembrava una caccia al tesoro, Raul si ritrovò davanti al secondo albero, presso l’ufficio Postale. Il suo sguardo si allungò oltre le mura della città: seguì il percorso del fiume Piave, si fermò sul Ponte della Vittoria, carezzò il profilo del Col Visentin. Ricordi antichi riscaldarono il suo petto e prese consapevolezza che l’amore per Belluno era rimasto immutato nonostante i tanti anni di assenza. “Non sappiamo in quale mare ci porterà il fiume della vita, ma con la forza e la limpidezza dell’acqua, dobbiamo avanzare”. Questo, il secondo messaggio. Il brillio delle stelle si confondeva con le luminarie di Piazza dei Martiri, ultima tappa. L’albero segnato era il più grande di tutti: troneggiava in mezzo alle casette di legno, al profumo degli incensi e del vin brulè. Raul trovò tra le radici, un piccolo cuore di pezza con ricamata la scritta “Ovunque noi saremo, avremo sempre lo stesso cielo. Buon Natale, tesoro mio!”

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La scatola dei sogni

La favola di Anna Menia (Danta di Cadore)

Le gocce cadevano incessanti, l’acqua della fontana di S. Lucano era mossa da cerchi più o meno regolari che si formavano ad ogni tocco . In quello specchio mosso si riflettevano le luci dei negozi dell’antico borgo. Ombrelli colorati sfuggivano frettolosi per le vie nell’accingersi a fare gli ultimi regali, quasi un’ azione obbligata. Le luci degli alberi e delle vetrine si sforzavano di far sentire un clima natalizio, che invano aspettava di essere riempito di calore e sentimento. Si era ormai perso quel senso di gioia , quella semplicità, quella voglia di rinascita che era l’emblema della festa stessa.La pioggia non aveva bagnato il cappello bianco e la tutina azzurra del piccolo elfo che stava al riparo ai piedi di porta Dojona, la sua spilla magica a forma di fiocco, brillava emanando bagliori azzurrini. La sua missione era di trasformare la pioggia in neve, ma vedendo tutta quella indifferenza, quei cuori senza sogni, non se la sentiva di sprecare la sua magia, Colorare il mondo con le proprie idee era fondamentale per lui,senza ciò come si poteva vivere quella festa che era il simbolo della speranza? Guardando dalle vetrine, scorse un bambino che assieme al suo nonno, in un atmosfera gioiosa, faceva acquisti. Si avvicinò per origliare ;- vorrei quella scatola – disse il piccolo rivolgendosi al nonno, – ma piccolo mio… è vuota non lo vedi?- – certo nonno, ma deve esserlo perché col tempo la riempirò di sogni per me e per gli altri -. Il nonno stupito e commosso, prese la scatola per donarla al nipote. Le guance paffute e rosse dell’elfo si piegarono in un sorriso, “ecco ciò che mancava” pensò! Non attese più un attimo, girò la sua spilla magica e subito dal cielo cominciarono a cadere candidi fiocchi.

Ora gli ombrelli non servivano più per riparare, si scostavano un poco per far scendere lievi i cristalli bianchi su occhi stupiti che godevano felici di quel regalo.