Quando l’astuzia diventa la più efficace delle armi.
Forse non tutti sanno che anche il carcere di Belluno può vantare una famosa storia di evasione: quella che è passata alla storia come la Beffa di Baldenich, quando dodici partigiani riuscirono a liberare settanta prigionieri politici.
É il sedici giugno del 1944 e tutto è pronto per la missione, Mariano Mandolesi conosciuto dai compagni come Carlo guida i suoi uomini verso le porte del carcere di Baldenich, dove i tedeschi tengono i propri prigionieri e al cui interno quella mattina ci sono sedici carabinieri e dieci secondini.
Il loro intento è quello di liberare Milo, che da li a pochi giorni sarebbe stato trasferito a Trento per essere fucilato e insieme a lui anche tutti gli altri, vittime ogni giorno di torture e maltrattamenti. Tutta l’operazione avrebbe dovuto svolgersi senza colpo ferire, senza uno sparo, senza spargere ulteriore sangue.
E questo avvenne: la Beffa di Baldenich inizia quando Carlo si presenta con otto compagni in uniforme tedesca dicendo di avere quattro prigionieri da consegnare. In un maccheronico tedesco Carlo e gli altri si rivolgono ai carabinieri i quali però chiedono loro i documenti di carcerazione.
I partigiani ne sono sprovvisti e cercano di prendere tempo, nessuna guardia si accorge di chi si nasconda realmente sotto le giacche e i copricapi tedeschi e chiedono: “Nessuno che parli italiano?” In quel momento arriva il secondino che aveva appena ultimato il giro di controllo e subito viene bloccato da Biondino, che gli prende il mazzo con le chiavi delle celle.
Liberati i prigionieri, incarcerati secondini e carabinieri il manipolo di fuggiaschi si dirige a piedi verso le montagne. Le guardie carcerarie riescono a dare l’allarme solo venti minuti dopo quando Carlo e gli altri si trovano già alle pendici del monte Serva, stanchi ma entusiasti per essere riusciti a realizzare la Beffa di Baldenich, senza dover sparare neppure un colpo.