Porta Dojona
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Porta Dojona e i suoi muri parlanti

Porta Dojona è uno dei simboli più caratteristici della città di Belluno. Ha visto quasi mille anni di storia dei bellunesi, ha subìto diversi restauri, è stata ampliata e coperta. Ma quello che forse non sapete è che nasconde anche un piccolo segreto di vita quotidiana. Leggete quale. 

Porta Dojona è una delle cinque porte (quattro ufficiali e una “d’emergenza”) che permettevano l’ingresso all’interno delle mura della città di Belluno, ed è una delle tre che si trova ancora oggi intatta.

Stiamo parlando di un vero e proprio monumento che è testimone della storia di Belluno dal 1289: è questo infatti l’anno in cui fu innalzato il suo arco interno chiamato inizialmente “di Foro” o “Mercato”, su disegno di Vecello da Cusighe e in onore del vescovo-conte Adalgerlo da VIII alta.

La seconda parte della porta, per intenderci la vera  propria “facciata” che dà su Piazza Vittorio Emanuele, risale al periodo Rinascimentale, esattamente al 1553: ad opera di Niccolò Tagliapietra, fu costruita per volontà del rettore Francesco Diedo (fate caso all’iscrizione sopra l’arco FRANC. DIEDO. PRAET. PRAEF.Q. OPT). Infatti potete notare che sono vari gli elementi rinascimentali riconoscibili, come le colonne poste sugli alti piedistalli, l’architrave lavorato a triglifie e le due cariatidi ai lati del Leone di S.Marco.

Una delle caratteristiche principali di questo suggestivo luogo della città è la penombra dalla quale si è avvolti passandoci sotto: dovete però sapere che non è sempre stato così. Infatti la copertura di collegamento venne realizzata soltanto nel 1622, conferendo a Porta Dojona il caratteristico aspetto di una “galleria in versione ridotta”.

E nemmeno il nome è lo stesso rispetto all’origine: la porta assunse il nome “Dojona” soltanto nel 1609 in onore di Giorgio Doglioni, coaditore del vescovo-principe di Bressanone.

Avete mai sentito qualcuno riferirsi a questa porta chiamandola “Porta de le Cadene”? Beh, se vi è capitato e vi siete chiesti il perché senza riuscire a darvi una risposta, lo facciamo noi: dovete sapere che si chiama così per il ponte levatoio che era presente fino al 1730 ca. (momento in cui il fossato venne interrato) dalla parte di Via Mezzaterra.

Ma veniamo ora a quello che vi avevamo promesso, ovvero la curiosità pressoché sconosciuta relativa a questa porta: vi abbiamo accennato al fatto che questo simbolo della città racchiude in sè, e in particolare sui suoi muri,  varie iscrizioni perlopiù in latino che ricordano la realizzazione dell’opera, i successivi restauri e lavori, o anche avvenimenti che riguardarono la città di Belluno. Ma ci sono anche delle scritte meno note e meno convenzionali che raccontano episodi di vita quotidiana.

Ci spieghiamo meglio.  Nei luoghi indicati dalle frecce nell’immagine qui sotto, se guardate con attenzione (dal vivo s’intende, se no che bello c’è?), potete vedere delle scritte di nomi di persona con relativa data. Sapete a chi appartengono? Si tratta degli autografi incisi dalle guardie di servizio alla porta a metà del 1800. E sapete come hanno fatto a lasciare il loro segno indelebile su Porta Dojona? L’hanno fatto con le loro baionette.

Scritte porta

Fotografia di Leonard Leo Graf.

Grazie al gruppo Belluno e Provincia: cultura arte e storia per averci fornito alcune delle informazioni presenti in questo articolo e alla ricerca di Gigetto De Bortoli, Andrea Moro, Flavio Vizzutti, Belluno: storia, architettura, arte Belluno, 1984.

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San Liberale, la chiesetta che protegge la città di Belluno

La Chiesetta di San Liberale racconta pagine preziose della storia del territorio e dalle pendici del Monte Serva fa da custode silenziosa ed elegante alla città di Belluno. 

La Chiesetta di San Liberale racconta pagine e pagine di innumerevoli storie bellunesi e non. Non ci credete?

Chiedetelo a chi vive o ha vissuto a Belluno: ognuno di loro vi risponderà che state parlando di un luogo che conosce bene. La chiesetta in questione, infatti, è uno di quei posti che rientrano a pieno titolo nei “luoghi del cuore” e che sono frequentati per motivi anche molto diversi tra loro: c’è chi ci approda nel corso di una passeggiata contemplativa, chi invece vi si reca per rivolgere una preghiera speranzosa o assaporare qualche momento di silenzio. Qualcuno ci va per contemplare rapito il panorama sulla Valbelluna e magari scattare qualche bella fotografia, qualcun altro vi parlerà di questo luogo come scenario di un appuntamento galante ,vissuto forse col cuore in gola e le mani sudate.

Insomma, avrete capito che la Chiesetta di San Liberale è un luogo molto importante per tutti i bellunesi; quello che forse non sapete è che si tratta di un posto che porta con sé una testimonianza storica ed architettonica tra le più antiche del Veneto settentrionale. Siete pronti a scoprirne la storia? Eccovi serviti.

La storia della Chiesa di San Liberale

Le prime notizie documentarie circa la Chiesetta di San Liberale si attestano attorno al 1578; tuttavia il luogo di culto ha origini più antiche, addirittura precedenti all’anno Mille. Dovete sapere che originariamente la Chiesetta era dedicata a San Daniele profeta e che presentava ben tre altari: l’altare maggiore era dedicato a San Daniele, mentre i due minori erano dedicati rispettivamente ai Santi Rocco e Sebastiano, e l’altro a San Liberale. La chiesa, che come abbiamo visto risale al periodo altomedievale, conserva l’impostazione a croce latina, con cripta ed abside sopraelevato e un corridoio sopra il presbiterio.

La chiesetta di San Liberale conserva delle opere che appartengono a diverse epoche storiche: le più antiche sono un sarcofago e dei frammenti di pluteo del periodo medievale, ma troviamo anche delle tracce di un ciclo pittorico del XV secolo, decorazioni ed affreschi del XVI secolo e un altare ligneo decorato del XVII secolo. 

Lo sapevate che nelle immediate adiacenze della chiesa un tempo sorgeva un piccolo cimitero? Se ci fate caso, le pertinenze esterne del luogo di culto sono delimitate da un muro a secco a sostegno di un duplice terrazzamento: proprio quello era lo spazio adibito un tempo a zona cimiteriale.

L’intonaco delle pareti esterne si è in parte distaccato, lasciando trapelare la struttura murale a filaretto. Un’altra cosa molto interessante da notare è la copertura: una struttura in legno ricoperta da lastre in pietra.

La Chiesa di San Liberale oggi

Se le origini antiche della Chiesa di San Liberale vi hanno incuriositi, se anche voi come noi pensate che un luogo che vanta più di mille anni di storia, arte e cultura si possa considerare a pieno titolo come meritevole di essere visitato, allora non vi resta che farci un salto di persona. La Chiesa è raggiungibile dalla frazione di Pedeserva (BL), ed è localizzata a circa 4 km dal centro storico di Belluno. Il sito è segnalato anche come tappa dell’itinerario tematico del Parco Nazionale delle Dolomiti. 

La Chiesetta è ancora saltuariamente usata per le funzioni religiose e rientra nella parrocchia di Sargnano. 

 

Un ringraziamento particolare al gruppo Belluno e Provincia: cultura, arte e storia per le informazioni fornite e a tutti i preziosi cultori della storia di Belluno.

Fotografia di Matteo Crema

 

 

La-beffa-di-Baldenich
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La Beffa di Baldenich

Quando l’astuzia diventa la più efficace delle armi.

Forse non tutti sanno che anche il carcere di Belluno può vantare una famosa storia di evasione: quella che è passata alla storia come la Beffa di Baldenich, quando dodici partigiani riuscirono a liberare settanta prigionieri politici.

É il sedici giugno del 1944 e tutto è pronto per la missione, Mariano Mandolesi conosciuto dai compagni come Carlo guida i suoi uomini verso le porte del carcere di Baldenich, dove i tedeschi tengono i propri prigionieri e al cui interno quella mattina ci sono sedici carabinieri e dieci secondini.
Il loro intento è quello di liberare Milo, che da li a pochi giorni sarebbe stato trasferito a Trento per essere fucilato e insieme a lui anche tutti gli altri, vittime ogni giorno di torture e maltrattamenti. Tutta l’operazione avrebbe dovuto svolgersi senza colpo ferire, senza uno sparo, senza spargere ulteriore sangue.

E questo avvenne: la Beffa di Baldenich inizia quando Carlo si presenta con otto compagni in uniforme tedesca dicendo di avere quattro prigionieri da consegnare. In un maccheronico tedesco Carlo e gli altri si rivolgono ai carabinieri i quali però chiedono loro i documenti di carcerazione.
I partigiani ne sono sprovvisti e cercano di prendere tempo, nessuna guardia si accorge di chi si nasconda realmente sotto le giacche e i copricapi tedeschi e chiedono: “Nessuno che parli italiano?” In quel momento arriva il secondino che aveva appena ultimato il giro di controllo e subito viene bloccato da Biondino, che gli prende il mazzo con le chiavi delle celle.

Liberati i prigionieri, incarcerati secondini e carabinieri il manipolo di fuggiaschi si dirige a piedi verso le montagne. Le guardie carcerarie riescono a dare l’allarme solo venti minuti dopo quando Carlo e gli altri si trovano già alle pendici del monte Serva, stanchi ma entusiasti per essere riusciti a realizzare la Beffa di Baldenich, senza dover sparare neppure un colpo.