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Una valigia di legno nella notte di Natale

La favola di Natale di Livio Casagrande

“Una valigia di legno!” esclamò Anna, tanta era la sua meraviglia per quella scoperta. La valigia era vicino alla scatola con le statuine del presepio, quelle di una volta, quelle di gesso, un po’ rovinate qua e là.

“E dentro la valigia ci sarà qualcosa?” – si domandava Anna – e poi, di chi sarà stata?”

Presa dalla curiosità, l’aprì e trovò due statuine del presepe e una foto con un gruppo di persone. Le statuine di gessorappresentavano due donne, una con le galline attorno ai piedi e l’altra con una cesta di panni al fianco.

Era la vigilia di Natale e tutto il materiale per costruire il presepe era già stato preparato assieme a muschio nuovo raccolto in campagna e a pezzi di legno per costruire la grotta e le montagne. Che mancassero due statuine nessuno se n’era accorto.

La sorpresa più grande per Anna fu quando prese in mano le due “donne” che iniziarono a raccontarle una storia, la storia di un altro Natale. Maria, la donna con la cesta di panni, le rivelò di come Antonietta, quella con le galline attorno ai piedi, l’avesse più volte salvata. Maria ricordò quei giorni terribili, tra il 1944 e il 1945, quando loro furono costrette a partire da Belluno per andare a lavorare in Germania ed erano divenute prigioniere di guerra. Arrivarono i soldati sovietici che stavano invadendo la Germania e cercavano donne giovani. Accadeva spesso che Antonietta nascondesse dietro di lei la sua giovane compagna di lavoro e di guerra, in modo tale che non se la portassero via. Quando poi Anna prese in mano la foto tolta dalla valigia, si accorse che c’erano, con altre persone, anche le due donne: Maria e la sua amica Antonietta. Qualcuno aveva pensato di ricordare questi fatti che nessun libro riporta, costruendo un presepe in valigia, una storia “sacra” di due donne che, come altre due nei Vangeli, Maria e Elisabetta , si sono aiutate. Ogni volta che Maria veniva nascosta era un Natale, perché la vita rinasceva.

E ora siamo qui a ricordare la storia, a riportarla nel cuore. Settant’anni fa una valigia di legno, fatta da un soldato russo, in cambio di un paio di calzini, riportò la speranza e la vita a Belluno. “Allora – disse Anna– con noi, adesso, la vita continua e la valigia è qui per testimoniare un altro Natale”.

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La città dell’angelo

La favola di Natale di Patrizia

Ogni anno faccio di tutto per trascorrere il Natale nella città dell’Angelo. Ormai è una tradizione. So che non volerò di nuovo accanto a lui ma, essere lì, dove accadde la cosa più meravigliosa e strana della mia vita e in quel magico giorno, mi fa stare bene.

Diversi anni or sono, passeggiavo per il centro di Belluno. Era il giorno della Natività ed il freddo era pungente. Pochi i passanti. Mi sentivo triste; le ricorrenze sempre portavano a galla periodi gioiosi lontani, trascorsi con persone care che non c’erano più. Mi rabbuiai quando, in un batter d’ali mi ritrovai a volteggiare appena sopra la loggetta del campanile dell’Angelo. Il panorama sulla vallata del Piave era mozzafiato. E le persone nella piazza parevano piccole formiche immobili. Mi riconobbi laggiù, avevo un giaccone rosso, vicino a me la mia piccola. Ma, adesso volavo. Volavo con l’Angelo del Duomo che non era più di bronzo bensì in carne e ali. Io mi sentivo in pace con il mondo a dispetto della strana circostanza. L’alata e magnifica creatura celeste si presentò e mi disse che ogni anno, il giorno di Natale, offriva a un viandante del piazzale il segreto per dare la felicità all’essere umano. “Chiunque ha bisogno di te. Dona amore e sarai ricompensato.” Poche semplici parole. Mi si gonfiò il cuore nel petto e, d’improvviso un rimescolio di sensazioni di ogni genere tracimò rompendo gli argini sospinto da una dolcezza mai provata prima.

“Mamma, a cosa stai pensando?”. La voce di mia figlia mi fece tornare da quello che non seppi mai definire. Mi guardai intorno: il freddo, i passanti, la mano nel guantino caldo che stringeva la mia. E, asciugandomi una lacrima le risposi: “Alla vita Tata, alla vita”.

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La magia della vigilia di Natale

La favola di Elisa Dalla Rossa

Non era una sera come tutte le altre, in Piazza dei Martiri gli ultimi ritardatari corrono impazziti da un negozio all’altro per trovare gli ultimi regali. L’albero è acceso, i festoni illuminano le vie della città, nelle casette intorno alla fontana dei giardini la musica ci accompagna durante il ritmo frenetico di questa città spesso silente.

Tutto è pronto qui in casa, sul tavolo la fetta di panettone e il bicchiere di vino rosso sono ben posizionate al centro della tavola, l’albero è acceso pronto ad accogliere i doni, nel presepe sulla mensola, nella capanna c’è grande attesa per l’arrivo di Gesù. Non è una sera come tutte le altre, posso vedere chiaramente i pensieri che si affollano nella mente del mio bambino mentre guarda fuori dalla finestra, per scorgere un segno che Babbo Natale stia per arrivare…le vedo, tutte quelle macchinine che ha chiesto, l’ultimo gioco di lotta per la Wii, quel pallone che promette tiri miracolosi…ed io, be cosa posso chiedere di più quando vedo quella luce nei suoi occhi? All’improvviso lo vedo guardare con meraviglia, la sua bocca si apre senza proferire verbo, mi giro e…la neve!! Incredibile, comincia a nevicare, che meraviglia!

La gente sul “Liston” per un attimo si ferma, dimentica del tempo che scorre. Siamo tutti col naso all’in su. Ma ecco, che come per magia una luce da prima lontanissima e debole, poi sempre più vicina e chiara, come un lampo veloce, una scia che disegna il cielo nero, Babbo Natale! Esclama mio figlio, mah e chi lo sa…davvero magia? O solo suggestione, lui è felice, ed io pure. La città riprende il suo ritmo, le casette continuano a suonare, l’albero a illuminare la piazza, il brulé che riscalda in questa serata, che non è come tutte le altre…

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Il cielo è blu sopra Belluno

La favola di Natale di Tiziano Schiocchet

Quando mio fratello aveva dieci anni e io quattordici si abitava a Belluno. Quell’anno, nella mattina della vigilia di Natale, cadde in poco più di sei ore, oltre un metro e mezzo di neve. Il pomeriggio, tornato il bel tempo, uscimmo tutti e due di casa a giocare nei prati stracolmi di bianco illuminati dal sole. Lui era sommerso fino al collo e dato che era alto sì e no un metro e quaranta in un attimo scomparve ai miei occhi, lo chiamai a gran voce, ma lui, che certo mi sentiva, non rispondeva, se non lo avessi riportato a casa in tempo per aprire i regali questa volta i miei genitori ce l’avrebbero fatta pagare cara.

Per individuarlo tra l’abbagliante distesa  chiesi aiuto a tutti gli amici. Vagammo per ore facendoci strada armati di badili e scope tra i muri e i cumuli di neve, di mio fratello nessuna traccia. L’incognita della notte stava velocemente sostituendo la certezza della luce del giorno, una notte al gelo sarebbe stata pericolosa per quel piccolo rompiscatole. Cercai di salire su qualche albero come una vedetta, dall’alto lo avrei forse scorto. Poi mi ricordai di lei. Mio nonno mi aveva raccontato che l’aveva persa Babbo Natale qualche anno fa. Ultimamente l’avevo notata, accartocciata e impolverata,  chiusa in soffitta, dimenticata da tutti, anche perché, oggi, non serve a nessuno e a nulla. Il nonno, pur non sapendo guidarla, mi aveva fatto salire una volta, qualche estate fa.  Insieme avevamo sorvolato le case, poi le prime colline e le montagne che circondano Belluno. Andai a prenderla, era li che mi aspettava. Era fatta di tela rossa e bianca e fili di corda lunghi e neri e il cesto di paglia dove stare in piedi era praticamente intatto. La portai giù in cortile e la accesi, volai tra le luci di Natale della città A un tratto il mio potentecannocchiale  mi fece scorgere  vicino alla fermata del bus, in mezzo al bianco lui, mio fratello. Che immensa gioia, che brivido corse lungo la schiena. Scesi a prenderlo e risalii subito con lui..   La mongolfiera sognante volava, illuminata dalla luna, nel cielo stellato, e di arrivare, dove non si sa, non aveva nessuna fretta e nessuna paura.

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Sorpresa a Babbo Natale

La favola di Natale di Sebastiano Ferin (9 anni)

Era la notte di Natale nella Prefettura di Belluno, le luci spente in piazza dei  Martiri, il Duomo silenzioso e vicino le scale mobili chiuse. Di luci non c’era traccia e la notte fredda senza luna ma l’aria carica di attesa e felicità,le fontane non facevano uscire acqua e in tutto il centro non c’era anima viva e il minimo rumore.

All’improvviso si sentì un rumore molto forte, delle campanelline, era Babbo Natale con la slitta e le sue renne e passando di casa in casa a consegnare i  regali chiesti si accorse che non c’era nessuno ma pensò: -è mezzanotte e saranno tutti a dormire -. Quando passò davanti alla Prefettura, vide che l’orologio non segnava l‘ora giusta insomma sembrava che tutto si fosse fermato nel tempo. Allora decise di entrare per regolare l’orologio, si portò con sè un’ascia per sfondare il portone della Prefettura ma lo trovò aperto, quindi decise di riporre l’ascia prima di entrare.

Una volta riposta l‘ascia entrò lasciandosi alle spalle piazza Duomo. Arrivato agli ingranaggi dell’orologio cercò di mettere l’ora giusta ma senza successo e gli sembrò strano che non svegliasse nessuno a lui sembrava una città morta. Dopo vari tentativi di ricerca di qualcosa che potesse regolare l’orario trovò una leva e la tirò verso il basso e sotto di lui si aprì una botola e cadde. Vide che era una galleria che portava a un grande salone, quando arrivò vide un grande albero di Natale. Mentre si avvicinava gli parve di essere osservato,ma quando si avvicinò talmente tanto che le luci si accesero e tutti i cittadini gridarono in coro: -ciao Babbo Natale!!!- e tutti festeggiarono felici e contenti di conoscere personalmente Babbo Natale.

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Il più bel Natale di Marco

La favola di Natale di Giulia (15 anni), Belluno

Battevano forte i denti e tanto il cuore: il Natale si stava avvicinando e io non vedevo l’ora. Passeggiare tra le vie illuminate a festa della mia piccola cittadina, con le mani strette in quelle di mamma e papà, era quello che aspettavo da tutto l’anno. Mi prendevano tutti un po’ in giro per questa mia passione e io, sinceramente, non ne capivo il perchè. Soprattutto Luca, il mio compagno di classe, diceva che Babbo Natale non esisteva e che ero una “femminuccia”; da quando aveva iniziato anche tutti gli altri miei compagni l’avevano fatto.

Però un giorno successe quello che mai mi sarei aspettato. La mia maestra aveva deciso di portarci a vedere gli abeti illuminati delle vie di Belluno: era stata una notizia fantastica per me, meno per i miei compagni. Tutte quelle luci, tutte quelle decorazioni: come potevano non piacere? L’atomosfera del Natale mi avvolgeva completamente: vedevo i visi della gente accendersi di una luce nuova, particolare e in tutti si faceva largo un gran sorriso. <<Marco, dai! Andiamo!>>.

Percepivo la sua voce come un suono in lontananza, affascinato com’ero dall’abete di Piazza Duomo: era veramente bellissimo, cosi’ regale e cosi’ illuminato! Lo guardavo col naso all’insù e mi sentivo piccolo piccolo davanti a cosi’ tanta maestosità! Stavo per tonare dalla maestra, quando vicino all’abete notai qualcuno: era un signore alto alto, con una lunga barba bianca, un gran pancione e gli occhi che sorridevano. Sono sicuro che anche gli altri bambini lo notarono, sebbene non me l’abbiano mai detto, perchè da quel giorno nessuno più mi disse che Babbo Natale non esisteva.

 

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La gloria del Natale

La favola di Natale di Angelo Tolotti

Nevicava. Fiocchi scendevano leggeri e danzavano con mille sfarfallii: un evento atteso, sempre magico.

Una vecchina, tutta vestita di nero, saliva a fatica lungo le scalette di Borgo Pra verso il centro della città. Belluno era lassù, tutta stretta al colle,  ma la neve creava turbini e veli che non lasciavano trasparire la meta. Doveva arrivare alla chiesa di Santo Stefano dove le funzioni sacre e le dolcissime nenie avrebbero sciolto i cuori di tutti in una pace senza fine. Mancavano tre ore alla Notte meravigliosa ma la vecchina aveva l’abitudine di passare di chiesa in chiesa per un giro obbligato di preci per i suoi morti, dalla chiesetta raccolta della Madonna della Salute in Piazza Erbe, al Duomo, silenzioso, con gli archi maestosi e con le statue che nella luce incerta  dei ceri votivi  sembravano animarsi in un soffuso inno natalizio.

Via verso la Chiesa di Loreto, tre Requiem, una benedizione ai suoi morti con acquasanta della  pila, e avanti ancora, sotto la neve che scendeva in un  fruscio appena avvertito. Domani sarebbe arrivato il Natale e lei ripensava ai suoi tanti, lontani, Natali di bambina, fatti di niente; i regali più belli?.. scodelle di rinunce… piatti di speranze. Fantasticando si chiedeva se l’anno dopo sarebbe stata lì, a pregare per le anime dei defunti, di suo marito perso da tempo, dei suoi due figli strappati in tenera età, mentre lei teneva stretto il filo della vita quasi per condurli verso il paradiso. Le preghiere diventavano incenso, erano invocazioni recitate con un bisbiglìo sottile, lei così fragile ma decisa di ripetere un rito che nemmeno gli acciacchi…. la sua vista  si annebbia, si appoggia stremata agli scalini che portano a San Rocco… non ce la fa .. si sente sollevare ..”Vieni, è arrivata la tua ora, sii felice … lassù, in alto… gli angeli cantano un Alleluja, tutto per te, per portarti in gloria per sempre..” ” Grazie, don Carlo, mi affretto, mi stai facendo strada tra i santi del cielo… oh, mio Dio, come sono fortunata!”.

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Il Natale della Luna

La favola di Natale di Vilma De Bona

C’era una volta in un paese un bellissimo albero di Natale sotto il quale venivano posati i doni per i bambini e grandi.
La notte di Natale tutti andavano in chiesa con tanta gioia nei cuori e finita la messa si recavano sotto l’albero per prendere i pacchi con i loro nomi, per ognuno c’era un dono!
Dal cielo la luna guardava un po’ triste perché in queste giornate di gioia nessuno pensava di regalare qualcosa pure a lei.Ecco all’uscita dalla chiesa i bambini correvano festosi verso l’albero, ma anche i grandi camminavano frettolosi verso i pacchi e trovato il proprio si avviavano verso casa.
Quando la piazza rimase deserta la luna guardò verso l’abete e vide che c’era ancora un pacchetto.
Si guardò attorno per vedere dove era il proprietario ritardatario del pacco, ma non vide nessuno, aspettò un paio d’ore e poi spinta dalla curiosità mandò un raggio per prendere il pacco.
Lo aprì e dentro trovò un bellissimo paio di scarpe da ginnastica rosa.
La luna non resistette e se le infilò, le andavano a pennello. La luna era felice, felicissima come mai era stata prima d’ora.
Saltellava di qua e di là mostrando le scarpe rosa alle stelle, che quasi quasi erano un po’ invidiose di quelle scarpe.

Arrivò l’alba e il sole cominciò a spuntare da dietro i monti.
Appena la luna lo vide corse a mostrargli le scarpe da ginnastica rosa, il sole la guardò un po’ distrattamente.
– Scusami – disse alla luna – ma lo sai che quando vengo dall’altra parte della terra sono un po’ triste, lì i bambini non hanno neppure da mangiare. –
La luna salutò il sole e andò lei in quella parte del mondo dove i bambini sono tanto poveri.
Lì sotto una palma vide una bimba con i piedi nudi, la luna pensò allora di regalargli le scarpette rosa ed era tanto felice perché a Natale è bello ricevere regali, ma è ancora più bello donarli.