Curiosità

La leggenda di un’anguana bellunese

Si sa che tutta la zona delle Dolomiti è costellata di storie magiche e leggende misteriose, secondo le quali il nostro territorio sarebbe popolato da creature mitologiche e fatate; abbiamo recentemente avuto modo di raccontarvi la Storia del Mazarol -qualcuno ci ha confidato di averlo visto davvero- e questa volta invece vi raccontiamo un fatto relativo alle Anguane.

Per chi di voi non conoscesse le Anguane, si tratta di creature incantate legate all’acqua (laghi, stagni, fiumi, sorgenti, ma anche pozzi e fontane) dove infatti amano abitare; ma queste creature popolano anche forre e caverne, boschi, colline e montagne.

Come sono fatte queste Anguane? Il loro aspetto è mutevole: possono presentarsi come bellissime e seducenti donne, oppure come vecchie streghe, in alcuni casi addirittura come metà donne e metà capre o metà serpenti. Ciò che è innegabile è che, belle o brutte, giovani o vecchie, sono dotate di un caratteraccio: sono esseri focosi e irascibili, generose se trattate bene, ma guai a far loro un torto! Perché? Beh, ve lo raccontiamo subito.

C’era una volta un’anguana che viveva in un laghetto nelle montagne bellunesi. L’anguana protagonista della nostra storia si presentava così: una ninfa seducente dai lunghi capelli rossi e con i piedi caprini. Segni particolari? Un amore sfrenato per il formaggio, talmente forte da spingerla nelle case altrui in piena notte alla ricerca di questa leccornia.

Nel corso di una delle sue irruzioni capitò che un giovane pastore la scoprisse: prima ancora di iniziare a rimproverarla, però, si innamorò perdutamente di lei, e la scintilla scoccò anche alla splendida anguana. Lui le chiese di essere sua per sempre, lei accettò ma ad una inviolabile condizione: mai e poi mai lui avrebbe dovuto rinfacciarle i suoi piedi di capra, mai si sarebbe dovuto prendere gioco di lei, altrimenti lo avrebbe lasciato per sempre facendo cadere su di lui le più terribili maledizioni.

Inutile dire che il giovane pastore accettò la promessa. La loro storia d’amore era bellissima e venne coronata dalla nascita di uno splendido bambino. Finché un funesto giorno, però, nel corso di un terribile litigio tra moglie e marito, al pastore capitò di dire: “Sei proprio un’anguana piede di capra!”.

Vi avevamo già accennato al proverbiale caratteraccio delle anguane, vero? E vi avevamo o no avvisati che a far loro un torto poi son guai? Si vede che nessuno aveva allertato il giovane pastore. Sentite come va a finire la storia.

L’anguana, accecata dall’ira, mandò al marito la sua maledizione prima di sparire per sempre nei boschi, procurando peraltro una devastante carestia in tutto il paese. La maledizione suonava così: tuo figlio non si sposerà mai perché altrimenti i suoi figli avranno piedi di capra!

Eh, non era mica una cosa da poco! “Chi si accollerebbe la responsabilità di generare dei figli con i piedi caprini? E tutte quelle persone morte poi! Solo per aver affermato un’evidenza. I piedi di capra ce li ha davvero! Ah, le donne!” pensava tra sé e sé l’ingenuo pastore.

Il figlio crebbe e, ovviamente, in una bellissima notte di mezza estate, s’innamorò; ma ricordandosi la terribile maledizione che pendeva su di lui, si fece prendere dalla disperazione si gettò da una rupe.

Ma proprio in quel momento la terra iniziò a tremare e si aprì una voragine che portò con sé il lago in cui viveva la madre anguana. Si racconta che nelle notti d’estate, prestando molta attenzione, si senta ancora un lamento venire dal profondo della montagna….

Sarà la madre anguana pentita per il suo gesto o il giovane dannato che non trova pace? Non lo sappiamo. Ormai è arrivato l’autunno e per un pò non potremo farci caso. In attesa della prossima estate, però, ci sentiamo di farvi una calda raccomandazione: non fate arrabbiare nessuna anguana.

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El caregon del Padre Eterno

Oggi vi raccontiamo la favola che spiega la genesi delle Dolomiti, e di una montagna in particolare, una delle più belle del mondo. Volete sapere quale? Leggete questa leggenda.

Dopo aver creato la maggior parte delle cose belle del mondo, il Signore volle scendere in terra per ammirarle da vicino.

Percorse tutta la terra da cima a fondo: si compiacque per i fiumi poderosi e per i delicati ruscelli, per gli alberi, i prati e i coloratissimi fiori, per le onde che si increspavano sulle incantevoli spiagge.

Girò e girò e volle lasciarsi come ultima tappa l’Italia: infatti, già sapeva che sarebbe diventata la sede del successore di Pietro (E come dubitarne? Lui sa tutto) e così decise di creare attorno alla penisola, tanto bella ma tanto vulnerabile, delle barriere difensive. Per tre parti la cinse con le acque del mare, ma non voleva però isolarla completamente e così pensò di coronarla a Nord con una catena di montagne.

Fu così che nacquero le Alpi Marittime, le Alpi Liguri, le Cozie, le Graie, le Pennine, le Retiche e così via. Il Signore aveva un bel da fare con tutte queste montagne e fece proprio un gran lavoro al termine del quale si volle fermare un attimo per osservare la sua opera. Pensò che le Alpi erano proprio belle: che maestoso il monte Bianco, che imponente il Cervino!  Ma sentì tuttavia che il suo lavoro non era concluso: voleva qualcosa di ancora più bello, ancora più maestoso.

Così, spinto da quest’idea di bellezza, diede forma a delle montagne diverse, fatte con un materiale magico che, se colpito dal sole, si colorasse di riflessi rosa incantando il cielo, e invece, se colpito dalla luna, colorasse l’atmosfera d’argento.

Il signore lavorò incessantemente per un giorno intero: appuntì le cime di queste montagne, le disegnò piene di guglie e creste e decise di chiamarle Dolomiti.

Giunto a sera, però, stanco, decise di riposarsi: si guardò intorno ma, ovunque posasse lo sguardo, vedeva cime appuntite e scomode. Fu così che con l’ultima dolomia che gli era rimasta decise di erigere un’altra montagna e la creò a forma di sedia: stiamo parlando del Monte Pelmo, posto quasi al centro del grande anfiteatro di monti che cinge il Nord Italia.

Da lì il Signore poté finalmente ammirare la sua opera: non c’era dubbio, aveva fatto proprio un bel lavoro. Stanco e soddisfatto, si addormentò e al suo risveglio, per un momento, fu tentato di uniformare le fattezze del Monte Pelmo a quelle delle altre Dolomiti. Ma poi pensò che, infondo, la montagna era bellissima anche così. E poi gli uomini, vedendo la montagna con quella forma così particolare, avrebbero ricordato la Sua presenza in quelle zone così belle e, forse,  gli avrebbero rivolto una preghiera.

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La leggenda del Mazarol

Oggi vogliamo raccontarvi una bella favola che parla di un personaggio curioso che fa parte della cultura bellunese: stiamo parlando del Mazarol.

Chi è il Mazarol? Un esserino dispettoso che abita i verdi boschi delle Dolomiti: è tutto rosso e saltella di qua e di là per le radure, comparendo quando meno ce lo si aspetta. Ha una casacca turchese, un cappello rosso a punta e degli zoccoli di legno e ha il potere di far cadere in uno stato di oblio chiunque calpesti le sue impronte.

Ma perché il Mazarol è così popolare nel bellunese?

Beh, mettetevi comodi e leggete questa bella storia.

C’era una volta una bellissima fanciulla che viveva in un piccolo paesino della Valbelluna e che un giorno decise di andare a raccogliere dei frutti di bosco maturi e succosi.  Capitò che per sbaglio la splendida fanciulla appoggiò il suo piedino proprio sopra un’impronta del Mazarol e, non appena lo fece, una forza inspiegabile la spinse a correre nel bosco fino a raggiungere una piccola caverna.

All’interno della caverna stava il Mazarol che prontamente, come se la stesse aspettando, le diede il benvenuto e le si avvicinò: la guardò dritta negli occhi e dolcemente le alitò sul viso; così facendo, la ragazza dimenticò tutto ciò che sapeva: da dove veniva, chi erano i suoi genitori, il suo stesso nome, tutto il suo passato.

Passarono i mesi in tranquillità: la dolce fanciulla trascorreva le sue giornate pulendo e sistemando la caverna, e in cambio il Mazarol le insegnò la preziosa arte della caseificazione. Dapprima le spiegò come fare il burro, poi la ricotta, un altro giorno ancora le insegnò a fare il formaggio e così, mentre il tempo passava, la splendida fanciulla diventava un’eccellente caseara.

Un giorno, però, il Mazarol decise che era tempo per la fanciulla di aiutarlo anche nelle faccende del pascolo: così la condusse all’aperto, sui prati di montagna, e le comandò di badare agli animali prestando però molta attenzione a non smarrire nemmeno un capo; la ragazza, felice, spensierata e finalmente all’aria aperta, camminava seguendo le mandrie quando tutto ad un tratto giunse su uno spuntone di roccia dal quale si vedeva tutta la valle. E indovinate un po’? In un attimo vide il suo villaggio, lo riconobbe e l’incantesimo magicamente svanì. La chiesa, la sua casa, i prati, la piazza e assieme a queste immagini il caro ricordo dei suoi genitori, dei suoi amici le tornarono alla mente con una lucidità disarmante.

Fu così che si mise a correre a perdifiato verso la sua casa, senza dar retta al Mazarol che urlava come un pazzo per fermarla. Per convincerla a tornare indietro l’omicciolo le promise addirittura che se fosse rimasta con lui le avrebbe insegnato ad estrarre la cera dal siero del latte, ma la ragazza non si fece tentare e corse ad abbracciare i suoi cari.

Arrivata al suo paese raccontò la sua incredibile avventura; ci fu una grande festa in suo onore e la splendida fanciulla insegnò ai suoi compaesani l’arte della caseificazione: burro, formaggio, ricotta e tutti i deliziosi prodotti tipici del territorio delle Dolomiti.

E come si fa ad estrarre la cera dal siero, vi starete chiedendo? Non possiamo rispondervi perché non lo sappiamo. L’unico consiglio che possiamo darvi è di mangiarvi un bel pezzo di formaggio bellunese per consolarvi!

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Le dieci cose che forse non sapete di Belluno

Siete stanchi delle solite cose da vedere a Belluno? 

Conoscete già tutte le principali attrazioni della città e avete sete di curiosità da vedere, di leggende di una Belluno da scoprire?

Per chi non è bellunese o viene a Belluno per la prima volta, o per chi l’ha scelta come città d’adozione, ma anche per chi  è nato qui e forse non conosce la città come crede…ecco le dieci cose che forse non sapete di questa Adorable Belluno.

La rubrica dieci vi racconta delle vere e proprie chicche per avere un punto di vista diverso su una città i cui angoli raccontano storie affascinanti, retroscena sorprendenti e, talvolta, persino divertenti.

1 #Questione di prospettiva

Uno dei panorami più belli del centro storico di Belluno è quello che si vede scendendo da Via San Lucano e dirigendosi verso Palazzo Doglioni Dalmas: da qui viene quasi spontaneo girarsi a destra e ammirare la distesa del Piave.

Ma se invece con un moto anticonformista vi giraste dall’altra parte? Beh, scoprireste che in alto a sinistra c’è un signore che se ne sta lì a leggere un libro: stiamo parlando del busto di Andrea Alpago, un umanista del ‘500 che ha tradotto dall’arabo il Canone medico di Avicenna, testo base degli studi di medicina in Europa.

2 #Reliquie misteriose

All’interno del Duomo di Belluno è conservata fin dal 1471 la cosiddetta Sacra Spina: si narra che provenga dalla corona di spine della Passione di Cristo.

Ma l’alone di mistero si infittisce: la reliquia è praticamente inaccessibile, infatti è conservata all’interno di un tabernacolo che si apre soltanto con cinque chiavi che, fin dal tempo del Rinascimento, vengono affidate a cinque persone diverse della città di Belluno.

3. #Brio tedesco

Vi siete mai fermati ad osservare il campanile di Santo Stefano? Non avete mai notato niente di strano?

Fate caso all’orologio: è diviso in ventiquattr’ore, secondo l’uso tedesco del Quattrocento.

4 #Nomi

Se è vero che il tragico episodio del Bosco delle Castagne è abbastanza noto, è vero anche che quasi nessuno conosce i nomi dei dieci partigiani uccisi per impiccagione il 10 marzo 1945. Ci pensiamo noi: Mario Pasi detto “Montagna”, Giuseppe Santomaso detto “Franco”, Marcello Boni detto “Nino”, Francesco Bortot detto “Carnera”,  Pietro Speranza detto “Portos”, Giuseppe Como detto “Penna”, Ruggero Fiabane detto “Rampa”, Giovanni Cibien il “Mino”, Giovanni Candeago detto “Fiore” e infine un soldato francese chiamato Joseph di cui, purtroppo, non si sa nient’altro.

5 #Un cinema sacro

Il Cinema Italia in Via Garibaldi è l’ultimo superstite in centro città di ben 5 sale cinematografiche. Lo sapevate che è stato costruito nel 1926 dove prima sorgeva l’antica chiesa di S. Maria Nova, eretta nel 1326 e distrutta in Età Napoleonica?

6 #Parentesi osé

Tra Via Mezzaterra e Santa Maria dei Battuti, un po’ nascosta nel fondo di un viottolo, fino al 1958 c’era una frequentatissima casa chiusa.

L’esistenza di questa casa del peccato, tra le altre cose, costituiva motivo di vanto nella diatriba campanilistica tra Feltre e il capoluogo: gli abitanti di Belluno più sfacciati, infatti, schernivano i feltrini dicendo che a Belluno ci si divertiva, mentre a Feltre si dovevano accontentare del manicomio provinciale!

E così fino a non troppo tempo fa, tra le vie del centro, a tarda notte, si sentiva cantare così: “E in mezzaterra l’è la zia Pina/ l’è la rovina di noi alpin”’.

7 #Castagna pop

Vi siete mai chiesti perché le castagne sono così popolari nel bellunese? E perché ci si ostini ad inserirle in improbabili ricette dolci e salate, crude, cotte, tritate, schiacciate, seccate, insieme al latte o mischiate con spezie? Perché prima dell’arrivo della patata dalle Americhe, quindi fino al 1700, le castagne costituivano l’alimento base, una specie di “pane dei poveri”.

8 #Primati

Ippolito Caffi è un pittore di fama mondiale che nacque a Belluno nel 1809. Lo sapevate che fu uno dei primi ad imprimere sulla tela la nuova vita delle città quando il buio della notte venne rischiarato prima dalle lanterne, e poi dalle lampade a gas?

9 #Francesismi

Porta Dojona è un resto del sistema murario che cingeva la città di Belluno. Sapete da cosa deriva il suo nome? Dal vicino torrione che in francese si chiama donjon. Un’altra curiosità: la potente famiglia bellunese a cui erano affidate le mansioni di sistema civico di difesa si chiamava Doglioni: guarda caso l’etimologia è la stessa.

10 #Il diluvio universale

Il nome Gusela del Vescovà significa “ago del vescovo”; come molti sapranno si tratta di una formazione rocciosa sottile e longilinea che vista dalla valle ricorda proprio un ago. Quello che forse non sapete è che, secondo la leggenda, la mitica Gusela fece nientepopodimeno che da ormeggio all’arca di Noè. Niente male, no?