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La leggenda del Mazarol

Oggi vogliamo raccontarvi una bella favola che parla di un personaggio curioso che fa parte della cultura bellunese: stiamo parlando del Mazarol.

Chi è il Mazarol? Un esserino dispettoso che abita i verdi boschi delle Dolomiti: è tutto rosso e saltella di qua e di là per le radure, comparendo quando meno ce lo si aspetta. Ha una casacca turchese, un cappello rosso a punta e degli zoccoli di legno e ha il potere di far cadere in uno stato di oblio chiunque calpesti le sue impronte.

Ma perché il Mazarol è così popolare nel bellunese?

Beh, mettetevi comodi e leggete questa bella storia.

C’era una volta una bellissima fanciulla che viveva in un piccolo paesino della Valbelluna e che un giorno decise di andare a raccogliere dei frutti di bosco maturi e succosi.  Capitò che per sbaglio la splendida fanciulla appoggiò il suo piedino proprio sopra un’impronta del Mazarol e, non appena lo fece, una forza inspiegabile la spinse a correre nel bosco fino a raggiungere una piccola caverna.

All’interno della caverna stava il Mazarol che prontamente, come se la stesse aspettando, le diede il benvenuto e le si avvicinò: la guardò dritta negli occhi e dolcemente le alitò sul viso; così facendo, la ragazza dimenticò tutto ciò che sapeva: da dove veniva, chi erano i suoi genitori, il suo stesso nome, tutto il suo passato.

Passarono i mesi in tranquillità: la dolce fanciulla trascorreva le sue giornate pulendo e sistemando la caverna, e in cambio il Mazarol le insegnò la preziosa arte della caseificazione. Dapprima le spiegò come fare il burro, poi la ricotta, un altro giorno ancora le insegnò a fare il formaggio e così, mentre il tempo passava, la splendida fanciulla diventava un’eccellente caseara.

Un giorno, però, il Mazarol decise che era tempo per la fanciulla di aiutarlo anche nelle faccende del pascolo: così la condusse all’aperto, sui prati di montagna, e le comandò di badare agli animali prestando però molta attenzione a non smarrire nemmeno un capo; la ragazza, felice, spensierata e finalmente all’aria aperta, camminava seguendo le mandrie quando tutto ad un tratto giunse su uno spuntone di roccia dal quale si vedeva tutta la valle. E indovinate un po’? In un attimo vide il suo villaggio, lo riconobbe e l’incantesimo magicamente svanì. La chiesa, la sua casa, i prati, la piazza e assieme a queste immagini il caro ricordo dei suoi genitori, dei suoi amici le tornarono alla mente con una lucidità disarmante.

Fu così che si mise a correre a perdifiato verso la sua casa, senza dar retta al Mazarol che urlava come un pazzo per fermarla. Per convincerla a tornare indietro l’omicciolo le promise addirittura che se fosse rimasta con lui le avrebbe insegnato ad estrarre la cera dal siero del latte, ma la ragazza non si fece tentare e corse ad abbracciare i suoi cari.

Arrivata al suo paese raccontò la sua incredibile avventura; ci fu una grande festa in suo onore e la splendida fanciulla insegnò ai suoi compaesani l’arte della caseificazione: burro, formaggio, ricotta e tutti i deliziosi prodotti tipici del territorio delle Dolomiti.

E come si fa ad estrarre la cera dal siero, vi starete chiedendo? Non possiamo rispondervi perché non lo sappiamo. L’unico consiglio che possiamo darvi è di mangiarvi un bel pezzo di formaggio bellunese per consolarvi!

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25 aprile. Pagine indelebili della storia nazionale e bellunese.

Il 25 aprile 1945 è la data che è stata scelta per ricordare la fine dell’occupazione tedesca in Italia, del regime fascista e della Seconda guerra mondiale.

A Belluno si lottò molto per la liberazione e l’inverno del 1945 fu costellato di eventi tragici. Vogliamo ricordarne due in particolare, che rappresentano delle pagine indelebili nella storia della città: il 10 marzo vennero impiccati 10 partigiani presso il Bosco delle Castagne; il 17 marzo fu segnato invece indelebilmente dall’impiccagione di altri 4 partigiani presso Piazza Campedel, luogo che in loro ricordo ha assunto il nome di Piazza dei Martiri, proprio in occasione della Liberazione.

Quello che forse è meno noto è che la popolazione di Belluno reagì in maniera molto forte in particolare a quest’ultimo evento: i cittadini tennero chiuse le porte e le finestre di abitazioni e negozi per ben due giorni consecutivi e parteciparono in massa ai solenni funerali delle vittime. Gesti forti volti a giustificare una scelta: la popolazione stava dalla parte dei partigiani. Stava dalla parte della libertà.

Domani è il 25 aprile e siamo tutti invitati a ricordare e festeggiare questo giorno che è diventato il simbolo nazionale della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica messa in atto dalle forze partigiane nel 1945.
L’appuntamento è per domani, sabato 25 aprile, alle 9.45 presso il pennone di Piazza dei Martiri. Sarà lì che avverrà il tradizionale alzabandiera, simbolo di una nazione, di un popolo e di una cultura, gesto che ricorda che cosa accomuna tutti: identità e valori.
Saranno presenti le autorità, le associazioni combattentistiche e cittadine. Dopo l’alzabandiera verrà deposta una corona al Monumento ai Caduti della Resistenza, momento in cui faranno il loro intervento il sindaco Jacopo Massaro e il Presidente dell’ANPI Gino Sperandio. I due momenti solenni verranno accompagnati dalle esecuzioni musicali della banda cittadina.
In occasione di queste cerimonie la viabilità del centro storico sarà modificata.

Girolamo Segato
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Girolamo Segato: una vita tra passioni e segreti

Girolamo Segato – dalle Dolomiti alle piramidi

Girolamo Segato scienziato, esploratore, cartografo, ma soprattutto uomo curioso e votato alla ricerca, torna ad appassionare i suoi conterranei con quattro incontri a lui dedicati.
Organizzati dall’Associazione Campedel, con il patrocinio del comune di Belluno, una serie di incontri, quattro in tutto, per conoscere da vicino la figura di Girolamo Segato, le sue passioni, i suoi studi e le avventurose vicende che hanno caratterizzato la sua vita.

Nato a Sospirolo, immerso nella natura, impara a conoscere da vicino ciò che lo circonda e apprende dal parroco del paese i primi rudimenti di scienza. In seguito studia a Belluno e diventa egittologo grazie alle sue continue esperienze in Egitto, coinvolto in spedizioni archeologiche a partire dal 1818.

Girolamo Segato – Primo incontro

Il primo dei quattro incontri dedicati alla figura di Girolamo Segato è fissato per mercoledì 15 aprile 2015 alle ore 18:00 presso Sala Bianchi.
In questa serata si potrà conoscere Girolamo Segato e la storia della sua vita attraverso i suoi lavori come naturalista, egittologo, cartografo, disegnatore ed antropologo.
Gli interventi sono a cura del direttore della biblioteca civica di Belluno, Giovanni Grazioli, accompagnato dalle letture di Nanni Dorigo.

Girolamo Segato – Secondo incontro

Nel secondo incontro, l’egittologa Elettra Dal Sie racconta la terra dei faraoni attraverso le esperienze di un viaggiatore veneto del XIX secolo, Girolamo Segato appunto.
Esperto nelle tecniche di mummificazione ed imbalsamazione, il bellunese riesce a sviluppare una propria tecnica, tutta nuova e capace di conservare il colore e l’elasticità dei tessuti.
Un processo, quello ideato da Segato, che resta ad oggi misterioso: nessuno è mai riuscito a conoscere il segreto della sua tecnica, anche se in molti hanno cercato di imitarlo.
Venerdì 24 aprile alle 18:00 in Sala Bianchi, viale Fantuzzi.

Girolamo Segato – Terzo incontro

Il viaggio alla scoperta dell’Egitto continua nel terzo incontro dedicato a Girolamo Segato, con una visita guidata alla scoperta di Villa Patt a Sedico e dei tesori che essa racchiude: dalla torretta egizia fino alla sala etrusca, per un tuffo nel passato a cura di Marta Azzalini.
Mercoledì 29 aprile alle ore 15:30 presso Villa de Manzoni ai Patt, Sedico.

Girolamo Segato – Quarto incontro

L’Egitto è protagonista anche nell’ultimo appuntamento del ciclo su Girolamo Segato con una serata dedicata alle suggestioni egizie nell’arte tra Settecento ed Ottocento, a cura del conservatore del museo civico di Belluno, Denis Ton.
Mercoledì 06 maggio alle 18:00 in Sala Bianchi, viale Fantuzzi.

museo civico belluno - izi.travel
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Quando il museo è smart

Il Museo Civico diventa smart

Quante volte vi è capitato, aggirandovi per le sale di un museo, di soffermarvi davanti ad un’opera per osservarla, cercando qualche indizio che vi aiutasse a comprenderne il più recondito messaggio? Poi stanchi di fantasticare sul perché l’artista abbia scelto quel soggetto e perché abbia deciso di rappresentarlo in quel dato modo, avete deciso di affidarvi alla didascalia per comprenderne il più intimo significato.

Di un’intera mostra, siate sinceri, quante didascalie avete letto? E quante di esse in maniera troppo superficiale?

Ad essere realisti, in un contesto quale è quello contemporaneo, nel quale in pochi ormai si soffermano a leggere con attenzione un testo per più di sei secondi, le lunghe didascalie che accompagnano le opere d’arte risultano ormai superate e noiose. Non vi pare?

L’app che ci guida al museo

Ecco perché il museo civico di Belluno ha scelto izi.TRAVEL, un’applicazione destinata sia ai musei che agli utenti, gratuita e sostenibile, capace di rivoluzionare il mondo delle audioguide.

Izi.TRAVEL infatti permette di realizzare delle audioguide scaricabili su tablet e smartphone, che permettono all’utente di approfondire l’opera che si trova davanti.
L’applicazione inoltre, una volta scaricata, funziona anche off-line.

I musei possono inserire le descrizioni del loro patrimonio storico ed incrementare i contenuti anche attraverso la pubblicazione di ricostruzioni video, che vengono lette dall’applicazione grazie ad un semplice QR code posizionato vicino all’opera.

Gli utenti, dal canto loro, possono recensire i luoghi che hanno visitato e le opere che hanno potuto ammirare per poi condividere la loro esperienza sui social network, dando modo anche a molti loro amici e followers di conoscere tesori artistici poco famosi ma senza dubbio unici e meravigliosi.
Una scelta, quella del Museo Civico di Belluno, fatta soprattutto per richiamare l’attenzione di un pubblico giovane che sembra essere poco attratto dai preziosi tesori artistici che questo piccolo scrigno conserva e che rende disponibili alla fruizione di tutti.

Alvaro Bari - Un pilota veneziano nella Resistenza feltrina
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Alvaro Bari – Un pilota veneziano nella Resistenza feltrina

Alvaro Bari – Un pilota veneziano nella Resistenza feltrina

La vita e le imprese di un ragioniere veneziano, tenente pilota e comandante partigiano che dalla Laguna Veneta si spostò nel feltrino per partecipare alla Resistenza, vengono raccontate nel libroAlvaro Bari, un pilota veneziano nella Resistenza feltrina”.

Il volume, scritto a due mani da Renato Vecchiato e Aurelio De Paoli, è un viaggio nel passato, descritto grazie a lunghe ricerche tra il tribunale militare di Verona, l’Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea e l’Istituto Colotti di Feltre, oltre alla raccolta di numerose testimonianze.

In queste pagine viene ricostruita la vita di Alvaro Bari, conosciuto dai suoi compagni con il nome di Giordano, oppure Cristallo, componente della Resistenza dal 20 ottobre 1943 tra Feltre, Croce d’Aune, Fonzaso e Lamon, fino alla sua morte, quando una tragica mattina di agosto del 1944 venne catturato durante la sua ultima missione in Primiero, torturato e gettato nel Lago di Busche.

Alvaro Bari – Presentazione del libro

Il libro, pubblicato nel 2014, verrà presentato lunedì 16 marzo alle ore 18.00 presso la Sala Bianchi, nel contesto delle commemorazioni per i tristi avvenimenti del Bosco delle Castagne del 10 marzo 1945 e di piazza dei Martiri del 17 marzo 1945.
Accanto alla storia di Alvaro Bari, vengono raccontate anche quelle di Piuma, all’anagrafe Giorgio Gherlenda, e quella di Nazzari, l’aviere Gastone Velo e con le loro quelle di tanti altri che furono protagonisti della Resistenza.

venezia con la neve_Ippolito Caffi_Museo Civico Belluno
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Ippolito Caffi: le avventure di un inquieto viaggiatore

Ippolito Caffi

In un periodo in cui la pittura incontra e si scontra con la fotografia, il pittore bellunese Ippolito Caffi è capace di creare atmosfere davvero suggestive, nuovi punti di vista sperimentando una creatività innovativa in un connubio perfetto tra pennellata ed uso della gradazione luminosa.

Forse non tutti sanno che Ippolito Caffi, nato a Belluno il 16 ottobre 1809, fu uno dei primi a imprimere su tela la nuova vita notturna delle città, quando il buio della notte divenne solo un ricordo lontano, rischiarato dalle lanterne prima e più tardi dalle lampade alimentate a gas.

Il giovane Ippolito aveva una mente fervida e un bisogno impellente di scoprire, conoscere e fare nuove esperienze.

Ippolito Caffi – quando una vita sola non basta

Dopo gli anni passati a studiare a Venezia Ippolito si trasferisce a Roma dove riesce ad affinare la sua tecnica pittorica ma per pittore nato tra i monti bellunesi non è abbastanza: ci sono ancora tante cosa cose da imparare e tanti luoghi da visitare.

Parte per Napoli e poi verso l’Oriente visitando Atene, la Turchia, la Palestina e l’Egitto, per tornare in Italia nel 1844 con nuove ispirazioni e tanta voglia di esprimere tutta la sua creatività.

Arruolatosi nel 1848 nella guerra contro l’Austria, viene fatto prigioniero ma riesce a scappare e a rifugiarsi a Venezia per poi partire per Genova, la Svizzera e Torino.

Il suo animo di viaggiatore lo porta anche nelle capitali europee: a Londra per l’Esposizione Universale e poi a Parigi, successivamente in Spagna e poi nuovamente a Roma.

Per nulla esausto, anzi sempre più motivato dalle sue continue nuove esperienze, Ippolito decide di unirsi all’esercito garibaldino e dopo l’avvenuta Unità d’Italia torna a Venezia per dedicarsi interamente alla pittura.

Ma l’animo del bellunese è sempre quello di un inquieto viaggiatore, alla continua ricerca di qualcosa di nuovo e stimolante, per questo nel 1866 decide di imbarcarsi sulla Re d’Italia, la nave impegnata nella battaglia di Lissa: al fine di poter riportare su tela le immagini dei combattimenti. Proprio a bordo di questa nave Caffi trovò la morte, mentre viveva l’ultima appassionante avventura della sua vita.

Ippolito Caffi – Le sue opere

Al Museo Civico di Belluno si trovano alcune opere di Ippolito Caffi, molte altre fanno parte di collezione private, mentre una grande quantità dei suoi lavori è oggi conservata nei musei di altre città: Città del Vaticano, Copenaghen, Roma, Torino, Treviso, Trieste, Venezia.

 

 

 

Nell’Immagine: Venezia con la neve – Museo Civico di Belluno

intervista Adriana Lotto
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Donne e violenza – Intervista alla Prof.ssa Adriana Lotto

Oggi si terrà il terzo e ultimo appuntamento per il ciclo di conferenze “LA VIOLENZA NAZISTA DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE”, organizzato dall’ISBREC con il Comune di Belluno per il 70°anniversario della Liberazione.

La Professoressa Adriana Lotto, una delle più grandi studiose della provincia di Belluno, per l’occasione condurrà la conferenza intitolata “Donne e violenza”, analizzando questo dramma sociale che, purtroppo, occupa ancora oggi gran parte della cronaca quotidiana.  L’incontro si terrà presso l’Istituto di Istruzione Superiore “T. Catullo” alle ore 15.30.

Noi l’abbiamo voluta intervistare e condividiamo con voi la nostra chiacchierata su questo tema che troppo spesso viene  ignorato.

1. La sua conferenza sarà centrata sui momenti cruciali della violenza sulle donne nell’arco del ‘900, e in particolare nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Come si è avvicinata a questo argomento?

Ho cominciato ad occuparmi di storia delle donne agli inizi degli anni Novanta, nell’ambito di alcuni convegni sulla Resistenza. Qualche anno più tardi, assieme a Bruna Bianchi e a Emilia Magnanini dell’Università di Venezia, ho dato vita, dirigendola per quasi dieci anni, alla rivista telematica DEP (Deportate, Esuli e Profughe) nell’ambito della quale mi sono occupata, data la mia conoscenza della storia e della lingua tedesche, delle donne  rinchiuse nei campi di concentramento, in particolare  della specificità della violenza loro inferta.  E da lì ho preso in esame altre forme di violenza come la tortura e lo stupro di massa, e quindi anche il tema della negazione dei diritti, della resistenza e della disobbedienza all’autorità, nonché la riflessione femminista sulla differenza sessuale.

2. La Seconda Guerra Mondiale rappresentò un momento di forte protagonismo per le donne: furono chiamate a interpretare ruoli inediti, a svolgere spesso compiti difficili, a reggere sulle loro spalle il peso della salvezza delle proprie famiglie. A suo parere questa “metamorfosi” portò anche qualche elemento positivo? Cos’ha da dire in proposito?

Uno dei temi a me cari è quello della cosiddetta “resistenza civile” o “senz’armi” che personalmente considero uno dei momenti in cui le donne sono uscite dal dominio del simbolico maschile e hanno tentato vie proprie, autonome, forti del loro sapere e di quello della loro madri. Pur non riuscendo, poi, a elaborare un linguaggio e una visione del mondo che traducesse quella loro straordinaria esperienza, hanno tuttavia gettato i semi di un modo diverso delle donne di stare al mondo che implica anche la questione dei diritti e della democrazia. Non si può chiedere la parità di genere, se questo significa accedere a istituzioni costitutivamente sessiste e omofobe come l’esercito, a circuiti consolidati di violenza che la presenza delle donne non mette certo in discussione. Anzi, bisognerebbe chiedersi se questa uguaglianza non sia in realtà una pari opportunità di uccidere, torturare, sottoporre a coercizione sessuale, come è successo ad Abu Ghraib.

3. Lei parla di quattro tipi di violenza: violenza subita, agita, assistita e rifiutata. Può farci un esempio per ognuna di queste?

Premesso che tutte queste forme di violenza devono essere lette alla luce della costruzione storico-sociale dei rapporti di genere, dentro e fuori del simbolico maschile, e che molto hanno a che fare con il tacito contratto sessuale cui le donne sono state sottoposte, la violenza subita, che è appunto sempre a sfondo sessuale, è quella ad esempio di cui furono vittime le partigiane o le mogli, le fidanzate o le sorelle di partigiani da parte dei repubblichini, ma anche quella inferta su spie dai partigiani stessi. In tempi più recenti lo stupro di massa delle donne bosniache. La violenza agita coinvolge per lo più le ausiliarie italiane della Banda Carità a Padova e Vicenza, ma anche le sorveglianti tedesche del Lager di Bolzano, e oggi le soldatesse di Abu Ghraib, le carceriere americane, le soldatesse curde che combattono l’Isis. La violenza assistita coinvolge chi guarda e non reagisce, quella rifiutata colui che la espunge dal proprio raggio d’azione, consentendone però a volte il dilagare, e infine quella rifiutata in nome di un altro agire che si sottragga a quella logica. Al di là di esempi e definizioni, credo che ciò che contraddistingue la violenza sulle donne è il razzismo e il sessismo ovvero l’idea della donna come essere inferiore e della donna in quanto tale, cioè altro dall’uomo, e quindi senza identità propria. Ciò che invece contraddistingue la violenza esercitata dalle donne è un’idea di parità che conduce all’imitazione, a essere cioè come gli uomini. Ciò che contaddistingue infine la violenza rifiutata è da un lato il ribadimento della propria soggezione che non crea empatia e solidarietà, dall’altro, al contrario, l’affrancamento della donna dal simbolico maschile e l’istintiva ricerca, che non necessariamente respinge l’uso della forza tout court, di modi risolutivi, ricerca che nel periodo considerato non si è però accompagnata, come ho detto sopra, allo sforzo di  elaborare un proprio ordine simbolico come mediazione, cioè traduzione in discorsi e ideologie, di esperienze specifiche.

4. Parliamo dell’attualità. Da un’indagine Istat è emerso che il maggior numero di violenze avviene all’interno delle mura di casa. Ma questo come si sposa con la cronaca di tutti i giorni che indica come un’urgenza prioritaria la violenza ad opera di estranei?

Come ho detto, le donne sono state sottoposte a un tacito contratto sessuale per il quale le violenze dentro le mura domestiche si sono sempre, e continuano ad essere, consumate senza che le vittime vi si sottraggano denunciandole. Ogni violenza non è altro, come ha detto Emma Schiavon, che una ripetizione della ripetizione. Certo è che fa comodo parlare di altre violenze, quelle di cui si rendono responsabili estranei, meglio se extracomunitari. Il fatto è che ancora non si vuole guardare in faccia la realtà e cioè, in questo caso, che anche la famiglia può essere un’istituzione fondata sulla violenza psicologica e fisica, sulla coercizione e sulla sottomissione sessuale. Oggi tutto questo è più visibile perchè l’informazione ne dà conto, perchè le violenze sfociano spesso in barbari assassinii. E questo accade, io credo, perchè si è rotto il contratto sociale e nel disordine simbolico che ne è seguito abbiamo smarrito quello che Luisa Muraro chiama “il senso di un orientamento condiviso” così da lasciare campo libero agli eccessi.

 

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Il custode di Piazza Duomo? Abita al Museo Civico

La curiosità di oggi riguarda la famosa Fontana di Piazza Duomo, monumento che tutti, bellunesi e turisti, hanno visto migliaia di volte, dal vero o in fotografia. Vogliamo parlarvi di un particolare di questo monumento di cui pochi conoscono la storia, in quanto effettivamente poco nota; stiamo parlando della statua che sormonta il dado di pietra della fontana. Chi rappresenta? Qual’è la sua vicenda?

La statua rappresenta San Gioatà, il martire militare ucciso perché cristiano sotto Diocleziano (inizio IV secolo) in Cireniaca. Il suo corpo arrivò a Belluno nel IX/X secolo, nello stesso periodo in cui arrivarono in Italia quelli di San Marco, San Vittore, San Giorgio e di altri santi martiri africani e mediorientali in fuga da un’islamizzazione sempre più cruenta.

I suoi resti si trovano tuttora nella cripta del Duomo, in una cassa di legno di pero dipinta di verde.  Apprendiamo la sua storia dal poema di Pierio Valeriano intitolato “1512 Joathas rotatus”, ossia “San Gioatà alla ruota”, a cura di Marco Perale.

La statua risale al 1461; l’opera fu scolpita da un autore appartenente all’ambito veneziano, in particolare alla scuola del famoso Bartolomeo Bon; non si conosce il nome dello scultore della statua di San Gioatà, ma sappiamo che si tratta del medesimo autore del portale di Santa Maria dei Battuti (oggi collocato nella chiesa di Santo Stefano).

Forse qualcuno si stupirà nell’apprendere che la statua, che dall’alto della fontana domina Piazza Duomo, è in realtà una copia dell’originale. Infatti, sebbene quella fosse la sua posizione originale, in seguito al terremoto del 1873 venne trasferita all’attuale Museo Civico per impedirne un ulteriore danneggiamento; solo nel 1933 venne sostituita con una copia quasi identica alla statua autentica. E fu così che San Gioatà poté di nuovo proteggere, dall’alto della sua posizione privilegiata, la splendida Piazza del centro storico di Belluno.

L’originale dell’opera d’arte si trova al Museo Civico di Belluno; ci teniamo a ricordare che, oltre alla statua, esiste anche un polittico di Simone da Cusighe, risalente alla fine del 1300, che raffigura San Gioatà, anche se, come ci ha raccontato il curatore del museo Denis Ton, è un finto polittico perché realizzato in un’unica tavola. Un’opera affascinate che unisce la cultura giottesca e quella emiliana, con qualche tratto gotico.

Forse adesso che conoscete la storia di San Gioatà e della statua di Piazza Duomo, oltre a passarci davanti rivolgerete un piccolo cenno di saluto a questo personaggio? E andrete a visitare anche l’originale?